domenica 20 giugno 2010

La bellezza è nel cervello di chi guarda





A che cosa serve l’arte? Che cosa vuole comunicare un artista? Il “senso del bello” è oggettivo o soggettivo? Sono tutte domande a cui cerca di rispondere la NEUROESTETICA.
Un’opera d’arte è “bella” perché aumenta la nostra conoscenza del mondo. E gli artisti non sono molto diversi dagli scienziati perché, attraverso un metodo e un linguaggio diverso da quello scientifico, hanno scoperto qualcosa di nuovo, “vedono” qualcosa che noi non vediamo, e tentano di comunicarcelo. E’ questa, in sintesi, la tesi di Semir Zeki, professore di neurologia presso lo University College di Londra che, intorno alla metà degli anni Novanta, ha fondato una nuova disciplina: la neuroestetica.
Il cervello è un artista…

semir zeki
Secondo Zeki l’arte, e soprattutto la pittura, è uno strumento straordinario per studiare i processi nervosi attraverso i quali il cervello percepisce la realtà. Di più: anche il nostro cervello quando “vede”, è un artista. In passato si pensava che la visione fosse un sistema passivo, cioè che l’occhio fosse semplicemente un canale attraverso cui passavano i segnali dall’esterno, che arrivavano al cervello così com’erano: l’immagine impressa sulla retina, si diceva, viene “proiettata” sulla corteccia visiva. Oggi sappiamo che la faccenda è ben più complessa. La retina opera una prima selezione: filtra i segnali visivi, registra le variazioni dell’intensità e della composizione spettrale della luce e trasmette queste sensazioni alla corteccia cerebrale. E qui parte un sistema elaboratissimo. La corteccia visiva comprende infatti una corteccia primaria (che agisce da “centro di smistamento”) e una serie di aree associative, che collaborano nell’interpretazione dei segnali. Ci sono per esempio cellule che reagiscono alle diverse lunghezze d’onda della luce trasformando queste informazioni in colori: i colori, quindi, di fatto non esistono, sono una costruzione del cervello sulla base di certe proprietà fisiche delle superfici. Ci sono poi cellule sensibili alla forma e cellule sensibili al movimento o all’orientamento spaziale (alcuni neuroni reagiscono alle linee orizzontali, altri alle linee verticali). C’è inoltre una vasta area specializzata nel riconoscimento dei volti e delle espressioni facciali, e aree sensibili ai movimenti del corpo. Inoltre la vicinanza del lobo temporale, e in particolare dell’ippocampo, risveglia le tracce mnemoniche e permette di confrontare l’immagine registrata con quelle già immagazzinate nella memoria.

le aree visive
In pratica il cervello opera una scelta tra tutti i dati disponibili e, confrontando l’informazione selezionata con i ricordi immagazzinati, genera l’immagine visiva con un procedimento molto simile a quello messo in atto da un artista quando dipinge un quadro. Il nostro cervello, cioè, non è un semplice cronista che si limita a registrare in modo passivo la realtà fisica del mondo esterno, ma è piuttosto un creativo: ogni volta che “vediamo” di fatto costruiamo nella nostra testa un’opera d’arte. Del resto il sistema visivo è un processo che si è evoluto lungo un arco di tempo di milioni anni: abbiamo imparato molto prima a vedere che a parlare. “E’ significativo il fatto che, di fronte a qualcosa di estremamente bello, non sappiamo spiegare la sua forza espressiva a parole” fa notare Zeki. “Si parla di ‘bellezza ineffabile’ perché il linguaggio resta muto, non è in grado di comunicarla. Forse proprio perché il sistema visivo, essendo antecedente al linguaggio, è molto più efficiente”.

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