venerdì 25 settembre 2009

Alexander Calder quando giocare è un arte.

Calder nel suo studio a Parigi


Tra i maggiori innovatori della scultura del XX secolo, artista molto amato in America e tra i più acclamati sulla scena internazionale, Calder, ha saputo cogliere lo spirito del suo tempo e fare del movimento, del colore e dell’ironia, le componenti fondanti della sua opera.
“..Quando ero piccolo possedevo molti giocattoli, ma non ero mai soddisfatto. Ogni giorno li ingrandivo e li abbellivo aggiungendo filo di ferro, rame e altri materiali... Più tardi ho giocato con giocattoli un po’ più complicati, ricchi di meccanismi...”
I mobiles, così chiamati da Duchamp, sculture di dimensioni, forme e colori diversi, lo hanno reso famoso in tutto il mondo e hanno rivoluzionato i principi dell’arte plastica, che per secoli era stata considerata come l’opposto del movimento. Parallelamente ai mobiles, Calder ha realizzato anche numerosi stabiles, sculture statiche costituite da piastre di metallo fissate con i bulloni. Negli anni ’60 e ’70, mobiles e stabiles hanno raggiunto dimensioni monumentali.
Calder nasce da una famiglia di artisti. Suo nonno, di origine scozzese, e suo padre erano entrambi scultori accademici di impronta neoclassica, ciò nonostante lo stile di Calder è assolutamente distante dalla tradizione accademica a cui essi si rifacevano.
Si laurea nel 1919 in Ingegneria Meccanica. Dopo la laurea intraprende diversi tipi di lavoro ma sempre con scarsa soddisfazione. Decide così di diventare un artista.
Guadagna il suo primo stipendio come artista nel 1924, quando comincia a lavorare come illustratore freelance per la National Police Gazette. Nel 1925, ottiene dal giornale un biglietto per assistere a due settimane di spettacolo del circo Ringling Brothers and Barnum & Bailey. Fu disegnando i numeri del circo, con le loro rapide sequenze di eventi, che Calder cominciò a esercitare la capacità di osservazione e la fluidità di disegno che avrebbero poi sempre caratterizzatole sue opere. Calder, che ha cominciato la sua carriera come pittore, ha realizzato dipinti, disegni, gouches, giocattoli umoristici, gioielli, arazzi e oggetti domestici d’ogni tipo, libri illustrati, litografie, le automobili e gli aerei dipinti.

Nel 1926 realizza il leggendario Cirque Calder in miniatura: per lo scultore, il circo, è stata una passione durata per oltre trent’anni che lo ha portato a realizzare miniature composte da più di 50 elementi con i materiali più disparati attinti dalla quotidianità. Oggetti curiosi, quali scatole di fiammiferi, pezzi di plastica colorata, tappi di sughero, filo metallico stoffa e quant’altro sono stati trasformati dalle mani dell’artista in splendidi personaggi, animali e attrezzi curiosi di un circo immaginario e ludico. Tra gli scultori contemporanei, l’amore di Calder per la sperimentazione è senza uguali. Per le sculture mobili ha usato oggetti comuni e curiosi, quali barattoli del caffè, scatole di fiammiferi e pezzi di vetro colorato. I suoi materiali preferiti, tuttavia, erano il legno e il metallo, dipinti rigorosamente con i colori primari, rosso, giallo e blu, e di bianco o di nero.
Con le sue figure in filo di ferro, ha contributo in modo originale all’evoluzione della ritrattistica.

mercoledì 22 luglio 2009

Biennale di Venezia. Le ceneri di Pasolini di Alfredo Jaar

il nuovo video dell'artista cileno Alfredo Jaar ritorna a Pasolini per parlare dell'italia berlusconiana



Il progetto espositivo più riuscito della Biennale di Venezia di quest'anno è forse il Fear Pavillon - Pavéllon de la urgencia, concepito e curato dall'artista e curatore Jota Castro, del quale abbiamo già presentato il percorso espositivo e lo statement curatoriale. E' qui che è stato presentato in anteprima l'ultimo progetto video di Alfredo Jaar. Si tratta di un omaggio a Pier Paolo Pasolini, lettura lucida e spietata di un Italia consumata dalla società dello Spettacolo.

Articoli Collegati

* Biennale di Venezia 09. The fear society: l'arte fronteggia la paura

E' stato a detta di molti, tra critici, curatori ed artisti, il Fear Pavillon - Pavéllon de la urgencia, il progetto curatoriale più riuscito e concluso della Biennale di Venezia 09. Come il suo curatore Jota Castro ha illusrato nell'intervista che abbiamo raccolto durante il vernissage, si è trattato di un progetto ben definito (a differenza della dispersione della Biennale di Birnbaum), mirato nel suo intento concettuale e politico. Uno spazio in cui far emergere una riflessione sulle paure di questo anno iniziato all'insegna della crisi, dell'incertezza, della precarietà.

La paura è fuori o dentro di noi? Quali sono le emergenze di questo inizio di XXI secolo? L'esplosione di un sistema bancario mal regolato? Gli spostamenti di masse umane in cerca del sogno occidentale? La costruzione di muri fisici e virtuali eretti per mantenere la ricchezza ed i privilegi dei paesi ricchi?

La televisione ci bombarda quotidianamente di visioni allarmanti: collassi economici, fame, povertà, bombardamenti, guerre, violenza. Questo flusso di immagini fa parte della nostra cultura visiva quotidiana. Sta agli artisti, sembra spiegare la mostra, fermare il flusso discontinuo e farci riflettere sul vero significato delle circostanze che viviamo.

Un artista cileno e residente negli Stati Uniti sembra averlo fatto mettendoci davanti allo specchio: in quanto italiani ed in quanto consumatori dei contenuti diffusi dai mezzi di comunicazione di massa. Si tratta di Alfredo Jaar, già da anni frequentatore assiduo di Biennali, noto per il suo tentativo di trasporre sul piano estetico l'impegno a mettere a fuoco il presente in cui viviamo. Immigrazione e guerre per il petrolio, fame, violenza e dittature globali, gli argomenti a cui si è avvicinato.

Nel milieu intellettuale della società latino americana, ed il Cile non fa eccezione in questo, guardare ai pensatori politici italiani del Secondo dopoguerra ha fatto parte integrante della formazione culturale di molti intellettuali e scrittori, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta. Insieme a Gramsci, Pasolini è uno degli intellettuali italiani più seguiti e citati, in America Latina ed anche - in tempi più recenti - nella letteratura critica anglofona contemporanea.


In questo Jaar è figlio della sua cultura e dopo anni in cui si è dedicato, in Italia, a recuperare il lavoro concettuale di Gramsci, è passato a Pasolini attraverso un gioco di parole. Le ceneri di Gramsci sono diventate Le ceneri di Pasolini, titolo dell'omaggio al poea, critico e intellettuale italiano, presentato al Padiglione della paura.

Si tratta di un video che integra parti originali, filmate in Italia nei luoghi chiave della vita di Pasolini, a immagini di repertorio, tratte da telegiornali, talk show, film di Pasolini stesso. Un viaggio che parte dalla morte di Pasolini come fatto di cronaca: le immagini dell'epoca girate sul luogo del ritrovamento del suo corpo morto, il funerale, i suoi amici che ne parlano (ed è toccante sentire Alberto Moravia che grida in un'intervista «hanno ucciso un poeta. Ma lo sapete quanti poeti esistono? Forse uno o due ogni secolo...»).

Ma poi il percorso si sposta ed invece di parlare della morte di Pasolini, ci troviamo di fronte a Pasolini che parla dell'Italia. E non è di politica partitica che si parla, ma del ruolo devastante che i media hanno avuto nel Paese. La televisione come oppio dei popoli, le comunicazioni di massa come strumento di controllo, proprietà di un potere retrogrado, conservatore, occupato a mantenere il suo status quo. Un percorso che fa irrigidire e soffrire chi guarda il video: passo dopo passo, attraverso pezzi di film ed interviste televisive (tra le quali quella storica con Enzo Biagi) ci troviamo di fronte alla realtà. Tutto quello che Pasolini diceva sulla società dello spettacolo non solo era vera, ma si sta perpetuando con intensità maggiore. Quel video è lo specchio dell'Italia di oggi.

E' la storia che si ripete, come ci ricorda a fine video, una sequenza in cui la gioia vuota e sfocata degli utenti degli autoscontri ripresi solo qualche mese fa, si accompagna a una hit pop degli anni Novanta qui particolarmente appropriata: Shirley Bassey remixata dai Propellerheads che canta «The newspapers shout a new style is growing,
but it don't know if it's coming or going,
there is fashion, there is fad
some is good, some is bad
and the joke is rather sad,
that its all just a little bit of history repeating».

da http://www.agenziami.it lucrezia cippitelli

domenica 31 maggio 2009

Il Cerchio




Il movimento circolare è perfetto, immutabile, senza inizio né fine, né variazione; questo fa sì che esso possa rappresentare il tempo, il quale a sua volta, può essere definito come una successione continua e invariabile di istanti tutti identici gli uni agli altri.
Il cerchio può rappresentare anche il cielo, dal movimento circolare e inalterabile. Il cielo stesso diventa simbolo, il simbolo del mondo spirituale, invisibile e trascendente, ma più direttamente il cerchio simbolizza il cielo cosmico soprattutto nei suoi rapporti con la terra.

Kandinskij

Il cerchio è un punto esteso e partecipa della sua perfezione. Il punto e il cerchio hanno delle proprietà simboliche comuni: perfezione, omogeneità, assenza di distinzione o di divisione. Può anche rappresentare non più le perfezioni nascoste del punto primordiale, ma gli effetti creati; in altre parole, il mondo in quanto si distingue dal suo principio

Delaunay

Nel buddismo Zen troviamo spesso disegni di cerchi concentrici, che rappresentano l'ultima tappa del perfezionamento interiore, l'acquisizione dell'armonia dello spirito, è anche simbolo del tempo: la ruota gira. Fin dalla più remota antichità, il cerchio è servito a indicare la totalità e la perfezione e a inglobare il tempo, per misurarlo meglio; i Babilonesi lo hanno utilizzato per misurare il tempo. Nel mondo celtico ha una funzione e un valore magici. Esprime inoltre l'eterno soffio della divinità.

Un cerchio di Sole di Thierry Teneul. Val di Sella

Il sole e l'oro sono indicati con un cerchio. Nell'antichità il piano circolare è associato al culto del fuoco, degli eroi e della divinità. Jung ha mostrato che il simbolo del cerchio è un'immagine archetipica della totalità della psiche, il simbolo del Sé. In quanto forma avvolgente, un circuito chiuso, il cerchio è simbolo di protezione. Il cerchio protettore prende forma, per l'individuo, dell'anello, del braccialetto, della collana, della cintura.

sabato 9 maggio 2009

Simboli e archetipi nella scultura di A. Pomodoro

Disco Solare di A. Pomodoro e i simboli magici dei pentacoli

Nell’autunno del 2004, sul domenicale del Sole24ore, è stato pubblicato un articolo di Arnaldo Pomodoro in cui dichiarava di essere sempre stato, nell'ambito del suo lavoro, interessato ai maghi, alla magia e al mistero.

La sua carriera comincia con la lavorazione dei metalli preziosi assieme al fratello Giò.
Lo spirito alchemico dell'artista si esprime nella antica tecnica della trasformazione della materia.
La sua arte è dominata da un rigoroso spirito geometrico, per cui ogni forma ridotta all'essenzialità volumetrica, è archetipo. La sfera, il cubo, il cilindro, il cono, il parallelepipedo e altri solidi, sono nettamente tagliati e ricollocati in schiere rettilinee o circolari paragonabili alle rapide successioni delle note in una composizione musicale o ad ingranaggi di misteriosi macchinari nascosti nell'interno di massicci contenitori (globi, colonne continue, cubi, dischi) e resi parzialmente visibili dagli squarci e dai tagli che rompono le lisce superfici di questi stessi corpi.
Lo spazio esterno non esiste tutto si svolge all'interno delle pareti lisce e lucenti rotte da un sordo dolore che genera crepe, che come ferite testimoniano il disagio dell'uomo industrializzato divenuto macchina egli stesso.
Con la scultura di Pomodoro si supera l’idea di forma chiusa, di plastica definita ma anche l’atra più stimolante di forma aperta e pittorica a cui ci aveva avviato Medardo Rosso.Pentacolo. Nei trattati di magia si dà il nome di pentacolo a un sigillo magico impresso su pergamena vergine fatta con pelle di capro o inciso su metallo prezioso come l'oro o l'argento. Questi sigilli si ritiene che siano in rapporto con realtà invisibili delle quali fanno dividere i poteri. Rappresentano, captano e mobilitano ad un tempo le forze occulte.

Si incontra nelle sue opere una spinta segreta dell’inconscio rivelatrice di complessi ancestrali, di tensioni e di fughe represse, di vitalità contenute ma originarie. L’apparente freddezza rivelata dalle lucide superfici del bronzo è l’accento originale del suo linguaggio che nasconde un fuoco inconscio ed evoca i fermenti segreti della materia.
L’arte, secondo la teoria di Jung, non troverebbe, come sosteneva Freud, la sua origine nella libido, ma sarebbe espressione di emozioni che emergono da archetipi presenti in un inconscio collettivo. La creazione artistica non avrebbe perciò origine nella conflittualità dell’individuo ma sarebbe necessità autonoma dell’essere umano.
L’arte così concepita, diviene attività di rigenerazione collettiva là dove inizia il percorso di organizzazione simbolica soggettiva: con l’anima con il nostro sé, è possibile cercare un contatto attraverso il simbolo.
Il simbolo collega ciascuno al mistero del mondo e al suo stesso mistero: presenta l’enigma dell’identità e delle infinite attribuzioni di significato che può dare all’esistenza.

Manadel.Questo simbolo invoca le forze del perdono e della pace. Lo schema è quello della croce in forma a sei punte.Come il quadrato la croce rappresenta la terra.Diretta verso i quattro punti cardinali, è in primo luogo la base di tutti i simboli d'orientamento, ai diversi livelli d'esistenza dell'uomo. In essa si congiungono il cielo e la terra, si mescolano tempo e spazio. E' diffusione, emanazione ma anche raccoglimento e concentrazione.

Praticare il simbolo significa scoprirsi parte incompleta di qualcosa d’altro a cui ci si può riunire sfidando il confine che ci separa dal mondo originario delle pulsioni. All’io cosciente, dunque, è dato di ricongiungersi con l’anima sua origine, per non perdersi e non perderla.
Nelle sfere e nelle colonne corrose dai tagli che svelano il moltiplicarsi di misteriosi ingranaggi, l’artista racconta l’incontro con l’elemento tecnologico. E’ la condizione dell’uomo post-industriale divenuto macchina egli stesso ma anche l’aspirazione dialettica tra l’elevazione cosmica (raffigurata dal cerchio e dalla sfera) e il dialogo sociale con l’ambiente e la gente di tutti i ceti.
Pomodoro assume come fondamento del suo lavoro la dualità di tensioni fra il segno e la materia come espressione dell’incontro dell’io con l’altro da sé e come traduzione dell’essere nel mondo.
I miti tecnologici e fantascientifici entrano in attrito con l’uomo, con il suo livello primario, naturale del suo esistere.
L’io e l’esistenza hanno finito per rovesciare la loro funzione, la visione positiva e unitaria del mondo non può essere che falsa.

Letture Consigliate
Libro per le Sculture di Arnaldo Pomodoro, (1974) G. Mazzotta, Milano
U. Galimberti, Psiche e Techne – l’uomo nell’età della tecnica, (2003) Saggi Universale, Feltrinelli
Paul Virilio, l’Arte dell’accecamento, (2005) Raffaello Cortina Editore, Milano
Angela Vettese, Artisti si diventa, (1998) Carocci, Roma
Il Dizionario dei Simboli, (1998) Bur
Jung C.G., Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, (1959) Einaudi, Torino.

domenica 26 aprile 2009

ZURIGO RENDE OMAGGIO A PIER PAOLO PASOLINI CON UNA GRANDE MOSTRA .



Pier Paolo Pasolini a New York 1966 (© Duilio Pallottelli/ L'Europeo)

Il Museo Strauhof di Zurigo dedica a Pier Paolo Pasolini una mostra a tutto campo che non ha precedenti in Svizzera. "Pier Paolo Pasolini - Who is me" mette in luce l'enorme talento di uno degli artisti e intellettuali più straordinari e controcorrente del 20esimo secolo.

Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è noto internazionalmente soprattutto per i suoi film polarizzanti e provocatori ma sono in pochi a conoscere la vastità e la multimedialità della sua opera. "Nella Svizzera tedesca Pasolini scrittore non è conosciuto per niente, forse si conosce il provocatore degli 'Scritti Corsari' ma non il romanziere e il poeta" spiega a swissinfo Ricarda Gerosa che insieme a Peter Erismann ha curato l'esposizione. "Noi invece volevamo far vedere l'intero Pasolini per far conoscere tutte le forme espressive che ha usato. Abbiamo voluto mostrare sia i film che i romanzi, ma anche la lirica e la pittura."

Ricchezza e varietà di una figura complessa

Dotato di un talento pluridisciplinare eccezionale, Pasolini si è servito di molti linguaggi espressivi per riflettere in modo sincero e lucido su temi arcaici come la vita, il destino degli uomini, la sessualità, la religione e la morte.

Poeta, romanziere, sceneggiatore per il teatro e il cinema, autore di saggi politico-culturali e di critica letteraria nonché di articoli fustigatori della società italiana, Pasolini ha praticato, oltre al linguaggio cinematografico anche la pittura e il disegno.

Ambizioso o quanto meno difficile quindi presentare una mostra capace di render conto della ricchezza artistica, intellettuale e umana di una figura complessa, contraddittoria, scomoda e combattiva come quella di Pasolini. Ma, bisogna ammetterlo, il risultato supera ogni aspettativa grazie a un'intelligente ed efficace strategia adottata dai curatori.

Un poema bio-bibliografico come filo conduttore

"L'opera di Pasolini è estremamente vasta e non è stato facile fare una scelta" ci spiega Peter Erismann. "Ciò che ci ha aiutati è stato un poema autobiografico molto lungo - il cui titolo originale era "Who is me", poi rinominato come "Poeta delle Ceneri" - che Pasolini scrisse nel 1966 a New York in occasione di un soggiorno negli Stati Uniti."

In questo componimento, costruito come una sorta di intervista con un giornalista americano, Pasolini ripercorre alcune tappe della propria vita ma anche della propria produzione artistica, cominciando dalla sua giovinezza in Friuli fino al presente.

"Quest'opera ci ha aiutati moltissimo - prosegue Erismann - è stata come una sorta di filo conduttore, un filo rosso lungo il quale abbiamo sviluppato il progetto espositivo. E sulla base di questo poema abbiamo individuato 24 lemmi chiave che ci hanno permesso di descrivere la sua opera e la sua vita."

Un piccolo dizionario orientativo

In un certo senso potremmo dire che è Pasolini stesso a suggerire i temi del suo cosmo bio-bibliografico. Gli organizzatori li hanno poi frammentati in una sorta di piccolo dizionario che, attraverso rimandi e collegamenti tra le diverse voci, aiuta i visitatori a seguire la complessa vicenda esistenziale, artistica e intellettuale di questo autore. Amicizie, Borghesia, Cinema, Comunismo, Diversità sessuale, Friulano, Impegno, Madre, Morte, Pittura e Disegno, Poesia, Processi, Sacralità, Teatro, Romanzi Romani sono solo alcuni dei 24 lemmi in cui si snoda il percorso espositivo.

A ognuno di essi corrisponde una postazione nella quale, attraverso documenti, lettere, dattiloscritti, copioni, ma anche articoli di giornale e materiale fotografico, ogni tema viene illustrato nel dettaglio mettendo in luce in una prospettiva tutta pasoliniana il legame indissolubile tra gli aspetti biografici e artistici che hanno caratterizzato la sua esistenza.

"Nelle vetrine si mischia di nuovo tutto" precisa Ricarda Gerosa. "Ad esempio in quella che presenta la parola madre non si trovano solo foto o materiale biografico ma anche come la figura della madre è entrata nella sua opera. In questo modo abbiamo voluto far vedere che tutti i temi di Pasolini possono migrare da un genere all'altro."

Un pensatore per immagini

L'opera cinematografica di Pasolini invece è sintetizzata magistralmente in un'installazione di Detlef Weitz e Dominique Müller nella quale una selezione di motivi e forme visuali dei film più importanti -tra cui La ricotta, Uccellacci e uccellini, Teorema, Salò- vengono proiettate in contemporanea su 12 schermi, mettendo in risalto in modo sorprendente l'estetica innovativa del linguaggio filmico di questo discusso regista.

"Fin dall'inizio ci era chiaro che volevamo mostrare anche il suo linguaggio filmico perché Pasolini ha sempre pensato per immagini" sottolina Erismann. "Era affascinato dalla pittura e lo si vede anche in diversi film dove fa delle allusioni alla pittura italiana del '400."

Non è quindi un caso che gli organizzatori abbiano scelto di accogliere il visitatore proprio con la proiezione di "Comizi d'amore" (1963-64), il documentario in cui Pasolini percorre la penisola chiedendo agli italiani la loro opinione sulla sessualità, l'erotismo e l'amore.

Questo film-inchiesta, ritenuto l'autoritratto più spassionato di Pasolini, sintetizza e anticipa in modo perfetto il concetto espositivo. In queste immagini infatti arte e vita sono fuse insieme, l'autore è dentro la sua opera, lo vediamo sullo schermo, ne sentiamo la voce e ne percepiamo i modi miti - eppure anche duri nella loro insistenza - nell'affrontare uno dei temi che ha avuto un ruolo chiave nella sua esistenza di artista e di uomo. ( Fonte: Swissinfo/ Autore: Paola Beltrame)

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giovedì 16 aprile 2009

Tino Vaglieri

Tino Vaglieri, Morte del Minatore, 1956, olio su tela

In questo breve testo raccolgo le parole, che più amo ricordare, di un vecchio amico pittore

“... Se io sono un pessimista lo sono così, per carattere, ma sono anche ottimista, sono terribilmente ottimista, porto avanti delle cose rischiando tutto, fregandomene di rischiare. Sono pessimista perchè non credo che ci sia qualcuno che ti paghi quando fai le cose, non ti paga proprio nessuno, le fai perchè lo vuoi tu. Non c'è spiegazione, la spiegazione la dai tu. Tu fai, fai e basta. Non c'è bene che tenga ne male. Quello che tu sei portato a fare, lo fai. La responsabilità è tutta nostra.”
Intervista a Tino Vaglieri, A. Palumbo, Realismo Esistenziale – Testimonianze, Tesi, Accademia di Brera, Milano, 1998

Tino Vaglieri nel suo studio di via Lazzaro Papi

lunedì 6 aprile 2009

Funzione sociale dell'opera d'arte


5 Aprile 2009
Piazza della Scala
MILANO AMA LA LIBERTA' RIPUDIA IL FASCISMO

Scultura in bronzo di Kengiro Azuma


A partire dagli anni ’50 del Novecento, la storia sociale dell’arte affronta il problema della produzione artistica in stretto rapporto con la società. L’intento è quello di svelare i complessi legami esistenti tra opera d’arte e quadro sociale di riferimento, nel tentativo di analizzare le componenti costitutive di tale sistema: la funzione sociale dell’artista, l’esperienza percettiva dei vari gruppi sociali a cui l’opera è rivolta, le reazioni delle mentalità, il formarsi del “gusto”.



Lo studio dell’opera come deposito di relazioni sociali, coinvolge l’esame dei codici stilistici e iconografici impiegati dagli artisti e dei significati simbolici e ideologici dell’immagine.

momenti della manifestazione

Secondo Francastel, sociologo francese, l’arte, più che espressione letteraria di una società, è essa stessa produttrice di forme e di trasformazioni della civiltà: è struttura, linguaggio capace di instaurare relazioni concrete fra l’essere e l’agire di una data comunità.

sabato 28 marzo 2009

Mnemosine


Al 3000 A.C. risalgono le feste di celebrazione del Dio del Sole Babilonese Shamash, nel giorno corrispondente al nostro 25 dicembre.

Aby Warburg e la biblioteca di Amburgo
Nel primo decennio del secolo XX si afferma in Germania a opera di Aby Warburg una tendenza rivolta a studiare i fenomeni storico-artistici sotto l’aspetto contenutistico culturale e iconografico.
Warburg si occupa soprattutto di pittura rinascimentale ma anche di antropologia e di psicologia, di storia delle religioni e di astrologia. La sua attività è legata alla costituzione di una biblioteca ad Amburgo, che aveva come motto Mnemosine, memoria. Organizzata sui quattro piani dell’edificio in cui era collocata, nel primo vi erano raccolti testi sulla natura dei simboli. La biblioteca era preso divenuta centro di ricerca per studiosi di diverse discipline.
Gli scritti storico-artistici di W. vennero pubblicati nel 1932, quattro anni dopo la sua morte. Da questi testi emerge come per l’autore, l’immagine artistica è l’espressione di una memoria sociale, di un esperienza nella e con la società: l’immagine è indissolubilmente legata alla cultura intesa come un tutto; un intero complesso di idee, ha contribuito alla formazione di quell’ immagine.
L’opera d’arte può essere capita soltanto se il suo valore religioso, il suo background intellettuale e sociale e le circostanza politiche sono prese in considerazione. Ne deriva che l’arte e la sua storia vanno studiate insieme a gli altri rami del sapere.
Tra i fattori intesi come strumenti di trasformazione culturale Warburg indica anche quelli psicologici. Allo studio dei simboli riconduceva quello spazio del pensiero nel quale, memoria, stimoli e immagini del fenomeno primitivo si componevano in una forma di equilibrio tra emotività e razionalità.


Rosone

A partire dal 1908 si dedica allo studio dell’immaginario astrologico nella cultura e nell’arte rinascimentale. Celebre è il saggio Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoia. Per Warburg , come si evince da una conferenza che egli tenne nel 1925 in memoria di Franz Boll (autore di studi e pubblicazioni sull’astrologia greca e araba),I documenti testuali e iconologici tratti dalla storia dell’astrologia e dell’astronomia sono intesi come testimonianze della lotta per l’uomo per la conquista della razionalità.
L’importanza della memoria sociale o di una collettività che si riflette nelle immagini è un tema sul quale aveva meditato fin dai primi saggi e che può avere derivato dalle letture delle opere degli psicologi Hering, Jung e Semon.
Negli ultimi anni della sua vita, Warburg, indaga a fondo il ruolo che la memoria ha nella storia della cultura come elemento di trasmissione e trasformazione delle forme e delle immagini.


Disco Solare di A. Pomodoro.

domenica 22 marzo 2009

Eredità artistica dell'Alchimia e la Pittura Medievale




Le origini dell'alchimia, l'antenata della chimica, si trovano nella prassi dei mestieri antichi e il suo influsso sull'arte non si manifesta solo come simbolismo occulto. E' l'arte della trasformazione: permetteva agli sperimentatori di comprendere i cambiamenti che le azioni di fuoco, aria, vapori e tempo apportavano ai materiali. Poiché questi cambiamenti erano accompagnati da alterazioni del colore ne consegue che l'applicazione pratica dell'alchimia diventasse il mezzo per fornire colori artificiali agli artisti. Cennino Cennini, nel suo Libro dell'arte (1390 ca.) fa spesso riferimento alla preparazione di pigmenti tramite l'alchimia.
Alchimista poteva avere diversi significati. I pittori medievali compravano i propri materiali da speziali e apotecari, artigiani che quasi sempre producevano personalmente i pigmenti, una categoria distinta dai fanatici della pietra filosofale, i quali cercavano i segreti esoterici per la trasmutazione del piombo in oro.
Il colore è stato molto importante durante il medioevo per la chimica: si riteneva che il colore di una sostanza fosse la manifestazione esteriore delle sue proprietà intrinseche.
La stessa pietra filosofale era chiamata anche Tintura.
Un esempio è il processo di produzione artificiale del rosso Vermiglione, il principe medioevale dei rossi, descritto da Teofilo, monaco benedettino del XII secolo, nel suo manuale tecnico Schedula diversarum artium (Taccuino delle varie arti, 1122ca.) in cui racconta la sintesi alchemica tra zolfo e mercurio.
L'alchimia attribuisce al rosso un significato speciale in quanto è il colore dell'oro (che era più bello quanto più era rosso) e simboleggia inoltre i culmine della Grande Opera, la creazione della pietra filosofale.
Il piombo che pare esercitasse sugli alchimisti una particolare attrattiva può assumere un aspetto nero, bianco, giallo, o rosso, grazie a trasformazioni chimiche che si presentano in presenza di calore.
Agli inizi del Medioevo erano molto diffusi i manuali tecnici chiamati ambiguamente Libri di segreti la cui importanza andò scemando quando la pratica della pittura passò dai monasteri alle città, dove fu svolta da professionisti laici.

L'oltremare, il vermiglione e l'oro furono la gloria della tavolozza medioevale.

Tipica produzione grafico-pittorica del Medioevo era la miniatura: arte di decorare e illustrare manoscritti. Il termine deriva dal latino minium, il pigmento rosso-arancione usato appunto per delineare le iniziali dei manoscritti; era ricavato dalla biacca (pigmento bianco derivato dal piombo) per riscaldamento, oppure dall'ossido di piombo. I pigmenti erano legati con colla di origine animale o albume d'uovo. Il supporto tradizionale della pittura era la pergamena: pelle di vitello, capra, pecora e cervo, seccate tese e raschiate fino a ottenere una superficie perfettamente liscia, ma per lo più i dipinti di grande dimensione giunti fino a noi erano eseguiti su tavole di legno: il legno veniva prima ricoperto di colla e poi da vari strati di stucco a base di gesso e colla, lo stucco più fine era per le parti a intaglio. La preparazione e l'applicazione dello stucco erano un compito noioso e perciò affidato agli apprendisti. La pittura su questo tipo di supporto era stesa a tempera tecnica per cui il legante principale con cui venivano agglutinati i pigmenti era il tuorlo d'uovo.
Anche la pittura parietale era largamente usata nel medioevo, sia nelle chiese che negli edifici pubblici e nei palazzi privati con la tecnica dell'affresco. La pittura a fresco produceva risultati duraturi, purché la parete non fosse soggetta a umidità.

Il pittore degli inizi del Medioevo era in genere un anonimo monaco, il cui compito era illustrare le storie dei Vangeli, in modo da suscitare devozione e pietà; la pittura era schematica, addirittura di maniera.
Nel tardo Medioevo, la bellezza e l'ostentazione di ricchezza divennero importanti nell'arte religiosa ma ciò non implicava la necessità di naturalismo; al contrario, nacque il desiderio di esibire i pigmenti più costosi e magnifici, in campi di colore piatti e uniformi, come atto di devozione a Dio. L'abilità non consisteva nel creare raffinate sfumature, ma nel sistemare sulla scena pigmenti crudi in modo armonioso.
Il motivo per cui gli artisti medioevali non rappresentavano figure e scena come apparivano "realmente" è perché questo obiettivo era per loro irrilevante: l'importante era che ognuno dei personaggi principali potesse essere chiaramente identificato nella scena, in una posizione e una dimensione adeguate al suo ruolo e con colori che possedevano significati simbolici e tornavano a gloria del Signore.
Il Medioevo fu un periodo di notevoli innovazioni nella produzione del colore e nel contempo la pittura da attività funzionale al contesto religioso divenne un mestiere praticato da membri di corporazioni che soddisfavano le richieste della classe dei nobili e dei mercanti. Il mistero e la magia cedevano il passo a una mentalità pratica. Questa trasformazione travolse anche l'alchimia, che mantenne i simboli delle sue radici mistiche ma che divenne anche sistema di produzione.

Ecco perchè...



Creare, giocare, innovare, andare oltre l'abitudine.
Guardare, vedere, pensare.
Dilatare gli orizzonti della nostra capacità immaginativa e della possibilità di comunicazione.
L'arte è il mondo in cui le regole vengono continuamente rimesse in discussione.