domenica 22 marzo 2009

Eredità artistica dell'Alchimia e la Pittura Medievale




Le origini dell'alchimia, l'antenata della chimica, si trovano nella prassi dei mestieri antichi e il suo influsso sull'arte non si manifesta solo come simbolismo occulto. E' l'arte della trasformazione: permetteva agli sperimentatori di comprendere i cambiamenti che le azioni di fuoco, aria, vapori e tempo apportavano ai materiali. Poiché questi cambiamenti erano accompagnati da alterazioni del colore ne consegue che l'applicazione pratica dell'alchimia diventasse il mezzo per fornire colori artificiali agli artisti. Cennino Cennini, nel suo Libro dell'arte (1390 ca.) fa spesso riferimento alla preparazione di pigmenti tramite l'alchimia.
Alchimista poteva avere diversi significati. I pittori medievali compravano i propri materiali da speziali e apotecari, artigiani che quasi sempre producevano personalmente i pigmenti, una categoria distinta dai fanatici della pietra filosofale, i quali cercavano i segreti esoterici per la trasmutazione del piombo in oro.
Il colore è stato molto importante durante il medioevo per la chimica: si riteneva che il colore di una sostanza fosse la manifestazione esteriore delle sue proprietà intrinseche.
La stessa pietra filosofale era chiamata anche Tintura.
Un esempio è il processo di produzione artificiale del rosso Vermiglione, il principe medioevale dei rossi, descritto da Teofilo, monaco benedettino del XII secolo, nel suo manuale tecnico Schedula diversarum artium (Taccuino delle varie arti, 1122ca.) in cui racconta la sintesi alchemica tra zolfo e mercurio.
L'alchimia attribuisce al rosso un significato speciale in quanto è il colore dell'oro (che era più bello quanto più era rosso) e simboleggia inoltre i culmine della Grande Opera, la creazione della pietra filosofale.
Il piombo che pare esercitasse sugli alchimisti una particolare attrattiva può assumere un aspetto nero, bianco, giallo, o rosso, grazie a trasformazioni chimiche che si presentano in presenza di calore.
Agli inizi del Medioevo erano molto diffusi i manuali tecnici chiamati ambiguamente Libri di segreti la cui importanza andò scemando quando la pratica della pittura passò dai monasteri alle città, dove fu svolta da professionisti laici.

L'oltremare, il vermiglione e l'oro furono la gloria della tavolozza medioevale.

Tipica produzione grafico-pittorica del Medioevo era la miniatura: arte di decorare e illustrare manoscritti. Il termine deriva dal latino minium, il pigmento rosso-arancione usato appunto per delineare le iniziali dei manoscritti; era ricavato dalla biacca (pigmento bianco derivato dal piombo) per riscaldamento, oppure dall'ossido di piombo. I pigmenti erano legati con colla di origine animale o albume d'uovo. Il supporto tradizionale della pittura era la pergamena: pelle di vitello, capra, pecora e cervo, seccate tese e raschiate fino a ottenere una superficie perfettamente liscia, ma per lo più i dipinti di grande dimensione giunti fino a noi erano eseguiti su tavole di legno: il legno veniva prima ricoperto di colla e poi da vari strati di stucco a base di gesso e colla, lo stucco più fine era per le parti a intaglio. La preparazione e l'applicazione dello stucco erano un compito noioso e perciò affidato agli apprendisti. La pittura su questo tipo di supporto era stesa a tempera tecnica per cui il legante principale con cui venivano agglutinati i pigmenti era il tuorlo d'uovo.
Anche la pittura parietale era largamente usata nel medioevo, sia nelle chiese che negli edifici pubblici e nei palazzi privati con la tecnica dell'affresco. La pittura a fresco produceva risultati duraturi, purché la parete non fosse soggetta a umidità.

Il pittore degli inizi del Medioevo era in genere un anonimo monaco, il cui compito era illustrare le storie dei Vangeli, in modo da suscitare devozione e pietà; la pittura era schematica, addirittura di maniera.
Nel tardo Medioevo, la bellezza e l'ostentazione di ricchezza divennero importanti nell'arte religiosa ma ciò non implicava la necessità di naturalismo; al contrario, nacque il desiderio di esibire i pigmenti più costosi e magnifici, in campi di colore piatti e uniformi, come atto di devozione a Dio. L'abilità non consisteva nel creare raffinate sfumature, ma nel sistemare sulla scena pigmenti crudi in modo armonioso.
Il motivo per cui gli artisti medioevali non rappresentavano figure e scena come apparivano "realmente" è perché questo obiettivo era per loro irrilevante: l'importante era che ognuno dei personaggi principali potesse essere chiaramente identificato nella scena, in una posizione e una dimensione adeguate al suo ruolo e con colori che possedevano significati simbolici e tornavano a gloria del Signore.
Il Medioevo fu un periodo di notevoli innovazioni nella produzione del colore e nel contempo la pittura da attività funzionale al contesto religioso divenne un mestiere praticato da membri di corporazioni che soddisfavano le richieste della classe dei nobili e dei mercanti. Il mistero e la magia cedevano il passo a una mentalità pratica. Questa trasformazione travolse anche l'alchimia, che mantenne i simboli delle sue radici mistiche ma che divenne anche sistema di produzione.

1 commento:

MAURIZIO CIPIRI ha detto...

SE PENSIAMO KE ORA BASTA ANDARE IN COLORIFICIO ,,,,,,
AHAHAHA
COMPLIMENTI X L'ARTICOLO ,
CIAO